L’IMPORTANZA DI MANTENERE, CONSERVARE E AMPLIARE LE ZONE DI PROTEZIONE NATURALE
[1]Università degli Studi di Padova Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione Corso di Alta Formazione "Conservation Education"
Abstract
L’impatto umano sull'ecologia del Pianeta non opera in semplici risposte di causa - effetto separate. Un solo singolo cambiamento che comporta anche una singola alterazione innesca a cascata un gran numero di risposte del sistema Terra e raramente seguono catene lineari, ma più spesso interagiscono smorzando o amplificando gli effetti di questa alterazione (Steffen et al 2004). Basti pensare alla continua crescita della popolazione nel mondo o al livello di diossido di carbonio in continua crescita solo per fare semplici esempi. Da questo l’importanza di mantenere, ampliare e costituire nuove aree di protezione per tutelare e studiare la biodivesità non solo per la conservazione delle specie animali e vegetali ma per sensibilizzare ed educare le nuove generazioni e importantissimo per capire i funzionamenti e la trasmissioni di nuove malattie visto che molte zone sono bacini e incubatoi potenziali di zoonosi.
Discussione
Nonostante i continui richiami da parte del mondo scientifico e accademico e nonostante ci siano comunque alti livelli di consapevolezza nelle società occidentali non ci sono stati da parte delle persone dei cambiamenti significativi nei comportamenti anche piccoli atti a migliorare potenzialmente le condizioni per salvaguardare l’ambiente localmente e globalmente.
Nella maggior parte dei casi il peggioramento delle condizioni ambientali ha una natura di tipo antropico. Il cambiamento climatico, la perdita di habitat delle specie o l’acidificazione degli oceani sono il risultato di stili di vita di miliardi di essere umani. Di conseguenza gli sforzi maggiori devono essere posti per salvaguardare le aree protette e la conservazione deve per forza passare attraverso cambiamenti di comportamento (Ehrlich & Kennedy 2005; Schultz & Kaiser 2012). Balmford e Cowling (2006) scrivono che "la conservazione in primo luogo non si tratta di biologia, ma di persone e le loro scelte”. Molti studiosi stanno considerando che siamo alla fine dell’Olocene e all’inizio dell’Antropocene[1] che ha trasformato gli archetipi ecosistemi originari da biomi a antromi[2] causando una perdita della biodiversità enorme (IGBP 2004) e una estinzione che viene anche definita come la “Sesta estinzione di massa” di animali e piante (PLoSE ONE 7: e30535; Millennium Ecosystem Assessment, 2005: Dirzo et all 2014). Quindi è ormai di concezione comune che la protezione della natura, nella sua globalità, passi necessariamente dalla tutela, la più rigorosa possibile, di aree individuate come particolarmente interessanti, che per la loro superficie vengono classificate come Parchi e riserve e in misura minore anche attraverso giardini zoologici.
Ogni paese del mondo ha ormai istituito una serie più o meno nutrita di aree protette per salvaguardare il suo patrimonio ambientale più prestigioso. Questo è il primo indispensabile passo da compiere per operare una protezione della natura realmente efficace. Bisogna quindi ragionare in termini di salto di qualità, considerando le aree di protezione semplicemente come i primi laboratori di una corretta gestione ambientale, che successivamente - e si spera in tempi brevi - verrà estesa anche alle aree esterne che il più delle volte sono lasciate a se stesse marcando un confine tra il protetto e il non protetto, spesso distruttivo, e creando una tendenza generale per i singoli di vedere se stessi come separati dalla natura (Schultz 2002b).
In questo possono aiutare ad una maggior consapevolezza le tecniche e i progetti di CITIZEN SCIENCE che sono uno strumento di sviluppo per l’espansione delle conoscenze sulla biodiversità e non solo. L’opportunità è anche data dall’uso di questa forma di sensibilizzazione attraverso i giardini zoologici dove si può toccare con mano
quasi immediatamente quello che si è appreso poco prima (Bonney, 2009).
Zoo e acquari hanno spostato la loro attenzione negli ultimi anni, assumendo un ruolo molto più attivo nella conservazione della fauna selvatica e delle specie vegetali nella promozione dell'apprendimento tra i loro visitatori e tali progetti sono stati un notevole successo nel promuovere la conoscenza scientifica sulla biodiversità locale e globale.
L’interesse scientifico delle aree protette, dimostrato da studi specialistici approfonditi, dovrebbe essere sempre alla base delle scelte conservazionistiche e indicare le priorità realizzative e d’investimento. Il problema della conservazione è di soluzione complessa soprattutto in paesi in via di sviluppo, nei quali il saccheggio di risorse naturali d’interesse mondiale costituisce ancor oggi l’unica possibilità di sopravvivenza per alcuni settori della
popolazione, oppure viene incentivato per la produzione di beni destinati al mercato internazionale. Oltre all’istituzione di grandi aree protette, nelle quali l’indotto derivante dal turismo e dall’eco-turismo può contribuire a motivare economicamente la protezione ambientale, mancano ancora modelli accettabili di equilibrio tra giuste esigenze locali e richieste conservazionistiche esterne, con i risultati distruttivi e troppo spesso irreparabili che tutti conosciamo. Non dobbiamo dimenticare peraltro che quanto avviene in numerosi paesi del mondo è stato attuato da noi in passato, come la situazione delle coste mediterranee può dimostrare ampiamente. La sola pretesa che altri conservino gli ambienti nei quali vivono, perché noi li possiamo ogni tanto visitare, non è quindi realistica ed è sostanzialmente ingiusta, da qui nasce anche il fatto che molti ricercatori in loco non siano sempre ben accetti. E’ quindi evidente che la tutela del patrimonio ambientale di pregio internazionale deve passare, come in parte sta avvenendo, attraverso finanziamenti esteri mirati e collaborazione scientifico - gestionale a livello transnazionale, per evitare almeno in parte che l’umanità continui a ripetere alcuni dei suoi peggiori errori (Groppali, 2008). Di seguito vengono brevemente descritte alcune linee nella gestione delle aree protette. Se indubbiamente la finalità comune delle aree di protezione è quella di proteggere e conservare nel tempo il patrimonio naturale compreso entro i suoi confini, le modalità con le quali ciò avviene possono essere anche profondamente differenti. Un primo esempio è costituito dai Parchi dei paesi di tradizione anglosassone (Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia): in essi sono presenti accessi veicolari e una rete di strade e in misura maggiore di percorsi pedonali e in alcuni casi ciclabili, ippici o per imbarcazioni di differente tipologia, e agli ingressi si trovano di norma strutture di servizio e informazione, insieme spesso a punti di ristoro. Il visitatore, se non è chiamato a contribuire alle spese di gestione con il pagamento d’un biglietto entra liberamente. Se le aree fruibili possono offrire rischi sono recintate, oppure viene fornita l’indicazione che oltre un certo limite chi procede lo fa a suo esclusivo rischio e pericolo. Permettono differenti approcci, da quello fine-settimanale a quello di brevi percorsi a piedi in aree di pregio, a quello molto impegnativo di escursioni che possono richiedere più giorni.
Ovviamente non vengono tollerate le azioni non consentite, che vengono sanzionate con severità da una vigilanza attenta e sufficientemente diffusa.
Il modello africano è invece profondamente differente: la fruizione libera non è la norma, anche per i rischi che potrebbe comportare, mentre il classico safari fotografico viene realizzato con l’uso di mezzi guidati da locali, che si scambiano continuamente le informazioni e raggiungono gli animali più interessanti. Questa pratica può compromettere l’ambiente ospite, danneggiando la copertura erbacea e a volte creando stress agli animali. Si tenga conto al proposito della forte pressione da parte di bracconieri pronti a qualsiasi reazione contro la sorveglianza.
Nei paesi dell’Europa orientale invece nelle aree protette vengono collocate alcune attività di fruizione non sempre compatibili con l’ambiente, originando spesso un disturbo poco tollerabile per fauna e flora.
Infine il modello italiano si colloca in una posizione dl tutto originale: infatti numerose attività poco compatibili con la conservazione dell’ambiente vengono spesso ammesse nei Parchi, quando presente la fascia di rispetto che dovrebbe ospitare strutture di servizio del Parco, viene spesso occupata da infrastrutture di vario tipo ed edilizia in genere abusiva.
Nonostante questa impostazione in numerosi Parchi italiani il patrimonio ambientale è ancor oggi di straordinario pregio e interesse, e ha permesso in non pochi casi di restituire alcuni elementi essenziali della biodiversità di altre aree protette europee.
Un altro tipo importante di ricerca scientifica che deve essere eseguito ed essere fatto in queste aree che possiamo definire più naturali confinanti ad aree modificate e molte volte densamente popolate è lo studio delle cosiddette "emerging infectious diseases", malattie infettive emergenti, quelle patologie infettive la cui incidenza è andata aumentando in aree del mondo circoscritte o a livello globale nell’ultimo ventennio del 20° secolo. Dei 57 milioni di decessi che ogni anno si registrano nel mondo, circa 15 milioni sono causati da malattie infettive: oltre il 25% (Morens, Folkers, Fauci 2004). Rientrano sia malattie che potremmo definire nuove, ovvero causate da un agente patogeno che prima di venire identificato era sconosciuto, sia malattie dovute alla diffusione in nuove aree di patogeni già esistenti, sia infine malattie nate dall’introduzione nella specie umana di patogeni che prima colpivano altre specie animali. Oltre il 60,3% delle malattie emergenti è dovuto ad agenti patogeni che causano zoonosi, ovvero microrganismi che normalmente circolano tra gli animali e che, a un certo punto, cominciano a colpire anche gli esseri umani. Inoltre, si è visto che buona parte di questi patogeni ha origine tra gli animali selvatici. Due esempi significativi di questo passaggio dalle specie animali selvatiche all’uomo sono il Nipah virus, emerso per la prima volta in Malaysia nel 1999, e la SARS, nata nella provincia cinese del Guangdong nel 2002. Il primo è normalmente presente nei pipistrelli, mentre un virus quasi identico a quello della SARS è stato ritrovato nello zibetto.
Un fattore di trasmissione cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni è la modificazione degli ecosistemi. La deforestazione è da temere perché favorisce la diffusione delle infezioni e ogni variazione ecologica può riflettersi sulla possibilità dei microrganismi di riprodursi e di colonizzare nuovi ospiti. Infatti, i microrganismi sono in grado di evolversi per adattarsi alle mutate condizioni ambientali, ma la loro evoluzione può tradursi anche nell’acquisizione di nuove capacità patogene. Questo vale soprattutto per quelle malattie
trasmesse da un vettore animale. Tra le modificazioni ecologiche più importanti cui stiamo assistendo c’è il cambiamento climatico. L’Intergovernmental panel on climate change (IPCC), un organismo dell’ONU, nel suo quarto rapporto (Climate change 2007, 2007) prevede un rialzo termico a livello mondiale di circa 3 °C nel corso del 21° secolo. Si pensa che questa variazione costituisca per la salute umana una minaccia particolarmente
grave perché favorirebbe l’espansione delle aree in cui colpiscono alcune malattie infettive trasmesse da animali. C’è da ricordare però che qualcosa si può fare: dato il legame fondamentale tra la conservazione e il comportamento umano gli sforzi maggiori devono essere fatti affinché ci siano più connessioni e scambi possibili di informazioni tra biologi, veterinari, medici, naturalisti e tutte quelle discipline che possono dare un contributo per acquisire conoscenze sempre maggiori per poi essere diffuse per una migliore comprensione a tutti i livelli.
Note
[1] L'Antropocene si potrebbe dire di essere iniziato nel Settecento, quando l'analisi dell'aria intrappolata nel ghiaccio antartico ha mostrato l'inizio di una crescente concentrazione globale di anidride carbonica e metano.
[2]Sono sistemi umani, con i sistemi naturali incorporati al loro interno
References
- Balmford, A., and R. Cowling, 2006. Fusion or failure? The future of conservation biology. Conservation Biology 20:692–695.
- D.M. Morens, G.K. Folkers, A.S. Fauci, 2004 The challenge of emerging and reemerging infectious diseases, «Nature», 430, 6996, pp. 242-49.
- Dirzo et all. Defaunation in the Anthropocene Science, 25 July 2014: Vol. 345 no. 6195 pp. 401‐406.
- Ehrlich, P., and D. Kennedy, 2005. Millennium assessment of human behavior. Science 309:562–563.
- IGBP synthesis: Global Change and Earth System, Steffen et al, 2004.
- Millennium Ecosystem Assessment, 2005
- RICCARDO GROPPALI, 2008. Ecologia applicata a gestione e conservazione della natura.
- RICK BONNEY, CAREN B. COOPER, JANIS DICKINSON, STEVE KELLING, TINA PHILLIPS, KENNETH V. ROSENBERG, AND JENNIFER SHIRK, 2009. Citizen
- Science: A Developing Tool for Expanding Science Knowledge and Scientific Literacy.
- Schultz, P. W., 2002. Inclusion with nature: understanding the psychol- ogy of humannature interactions. Pages 61–78 in P. Schmuck and P. W. Schultz, editors. The psychology of sustainable development. Kluwer, New York.
- Schultz, P. W., and F. G. Kaiser, 2012. Promoting proenvironmental behavior. In press in S. Clayton, editor. Handbook of environmen- tal and conservation psychology. Oxford University Press, Oxford, United Kingdom.
- Steffen et al, 2004 Global Change and Earth System.