SULLE TRACCE DEL BIGFOOT
https://skeptoid.com/episodes/4441
Il Bigfoot dovrebbe essere una bestia enorme, pelosa e bipede che si aggirerebbe per le foreste del Nord America. Le supposte “prove” della sua esistenza si basano sul ritrovamento di impronte umanoidi giganti e su alcuni video sfuocati. Prove inconcludenti e dalla dubbia validità scientifica. Ma ci sono sempre delle eccezioni. Secondo i “ricercatori” del BFRO (Bigfoot Field Researchers Organisation) esiste la prova dell'esistenza del famoso, diciamolo in italiano, Piedone e sarebbe il calco di Skukoom. Un calco di circa 5 metri quadri per 91kg che dovrebbe rappresentare la forma di un primate bipede tra i 2,1 e i 2,7m di altezza accovacciato mentre prende una mela. Tutto questo senza lasciar traccia delle famose impronte di piedi.
Prima di analizzare le contestazioni fatte dagli scettici[1] bisogna analizzare il contesto in cui questo calco fu preso. Infatti, questa prova fu raccolta in un episodio di un documentario chiamato Animal X distribuito da Discovery Channel che distribuiva anche capolavori come Finding Bigfoot (un gruppo di persone che con la finalità di documentare la presenza del Bigfoot, muniti di telecamere, si muovevano facendo chiasso e urlando nei boschi nordamericani) , Monster Hunter (un gruppo di signori che creavano trappole per catturare le più varie creature mitologiche nordamericane), Megalodon: The Monster Shark Lives (un mockumentary ossia un finto documentario) ed altri programmi simili che puntavano più sull’intrattenimento che sull’accuratezza scientifica. Perciò è del tutto comprensibile che non ci sia nemmeno una pubblicazione scientifica riguardo il calco preso in considerazione. Ma questo non ferma il BFRO e suoi ricercatori continuano a sbandierarlo nel loro sito come una delle migliori prove dell’esistenza del bigfoot. Se il calco fosse veramente di un Bigfoot sarebbe sicuramente una scoperta interessante, ma purtroppo gli scettici devono fare delle domande.
La prima domanda è: perché non ci sono impronte di piedi? Non sarebbe stato più semplice camminare fino all’esca piazzata dai ricercatori e mangiarsi la mela? La risposta sarebbe che l’animale in questione voleva nascondere le sue tracce quindi piuttosto che lasciare le impronte dei piedi preferì lasciare la forma di tutto il suo corpo. Si può chiaramente notare che questa affermazione fallisce nella sua stessa logica. La seconda domanda è: perché non avete messo qualcosa per riprenderlo? Le risposte sono varie e hanno spesso a che fare con la capacità di questo animale di eludere ogni tipo di telecamera. Infatti, se uno volesse addentrarsi nella tana del bianconiglio delle teorie sul Bigfoot troverebbe di tutto e di più. Perciò per evitare di uscire fuori tema lascerò questa domanda aperta alle vostre interpretazioni.
La mia teoria è che se avessero messo una foto trappola l’aria di mistero sarebbe sparita e avrebbero scoperto l’amara verità. Il calco è con tutta probabilità di un cervo. Ci sono diverse prove che indicano l’origine del tutto comune di questo calco. La prima è che la zona in questione è frequentata da cervi e che ci fossero tracce di cervidi nei dintorni. La seconda è che il calco fu trovato in una pozza di fango dove spesso i cervi andavano a rotolarsi. Inoltre, la mancanza di impronte è del tutto in linea con il modo in cui i cervi si alzano dalla posizione accovacciata. Infatti, molti sostenitori della teoria del bigfoot sostengono che un cervo avrebbe lasciato delle impronte direttamente sul [2] calco, ma in verità i cervidi si alzano mettendo le zampe lateralmente utilizzando un movimento oscillatorio laterale per mettersi in piedi. Questo sarebbe stato facile da verificare se il calco non si fermasse prima dei probabili unghioni. La terza prova a favore della teoria “noiosa” è data del fatto che insieme al calco furono rinvenuti dei peli che quando analizzati si scoprì appartenere a un cervo. Tutti tranne un pelo sospetto che però non venne ulteriormente analizzato. Perciò se volessimo analizzare le due ipotesi con l’ausilio delle prove a disposizione abbiamo due scenari: un cervo si è seduto nel fango, ha mangiato una mela e si è rialzato lasciando un calco compatibile con la sua dinamica di movimento e ha lasciato dei peli; oppure un primate bipede gigante ha deciso di afferrare una mela sdraiandosi su un lato in una pozza di fango per poi lasciare il calco del corpo e dei peli di cervo. Non dovrebbe essere difficile capire quale teoria sia più probabile.
Se la risposta è così semplice perché BFRO la considera ancora una prova valida. Il problema sta nel contesto di cui avevamo parlato prima. Nel documentario, infatti, il calco viene mostrato a diversi esperti come il calco di un Bigfoot creando un chiaro esempio di “distorsione di conferma” ossia vedere cosa si vuole vedere. Chi si dedica al tracciamento conosce questa situazione. Come quella volta che confusi l’impronta di una martora con una lontra perché ero in una zona da loro frequentata o come tutte le volte che negli esami Cybertacker vengono messe delle impronte di scarpe o copertoni che sono puntualmente scambiate per animali solo perché la gente si aspetta di trovare solo animali. Proprio per contrastare questo fenomeno le pubblicazioni scientifiche vengono revisionate prima di essere pubblicate, ma come sappiamo in questo caso non ci sono stati articoli scientifici. Ci fu però un tentativo di contrastare la distorsione di conferma originale, da parte del dr. Wroblewski (professore presso l’università dello Utah specializzato in stratigrafia, sedimentologia e icnologia), il quale mostrò la foto del calco (visto che per qualche ragione il BFRO non voleva far analizzare l’originale) a diversi suoi colleghi senza specificare di cosa si trattasse e tutti risposero, in poco tempo, che si trattava di un cervo (contrariamente a ciò che è stato mostrato nel documentario).
Quindi possiamo constatare come ancora una volta il tracciamento e il metodo scientifico si sono rivelati ottimi strumenti per risolvere misteri e come essi siano legati tra loro, dopo tutto il tracciamento è l’origine della scienza secondo Louis Liebenberg.
Scritto da Enrico Vitali
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