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Aspetti tecnici e normativi della conservazione di interi ambienti, paesaggi e territori nel quadro

[1]Università degli Studi di Padova Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione Corso di Alta Formazione Conservation Education.

Abstract

Per quanto l’istituzione di parchi o riserve sia fondamentale per la tutela della biodiversità, occorre ricordare che piante e animali non ne rispettano i confini e che solo una gestione integrata corretta delle aree protette e dei territori ad esse esterni può garantire un’azione di salvaguardia efficace. L’approccio più ovvio è quello di selezionare e tutelare aree che rivestono particolare valore naturalistico, ovvero attraverso l’istituzione di parchi e riserve. Parchi “isolati”, che ignorino l’importanza di una gestione territoriale sostenibile oltre i limiti di questi, vanifica gli stessi benefici apportati da quest’ultimi.

Introduction

Le popolazioni umane di epoca preistorica presenti in Europa tra il Mesolitico e il Neolitico furono in grado di imprimere consistenti modificazioni ambientali, con ripercussioni sensibili sulla fauna selvatica, non solo nel circondario dei nuclei insediativi stabili resi possibili dall’affermazione dell’agricoltura, ma anche in aree molto più vaste impegnate dalla pastorizia a carattere seminomade. L’aspetto più significativo della trasformazione è costituito nella regressione delle foreste a seguito di disboscamenti e incendi; nella loro degradazione causata dal pascolo e dai tagli; infine, nella diffusione crescente di ecotoni e di spazi aperti, coltivati o meno, a volte fino all’avvio di fenomeni di desertificazione. Gli andamenti demografici alterni della popolazione conseguenti a crisi economiche e climatiche, guerre ed epidemie, hanno segnato fasi di ripresa delle foreste anche di notevole portata, ma a partire dal tardo medioevo l’impatto delle attività umane sugli ecosistemi si è sempre mantenuto molto elevato.

La rivoluzione industriale dei secoli XVIII e XIX ha poi impresso una formidabile accelerazione ai processi, con una grande influenza sulla superficie e sulla composizione delle foreste e in più in generale sul rapporto boschi, pascoli, coltivi ed altre forme di uso dei suoli. L’azione dell’uomo si è esplicata sia in modo diretto, soprattutto attraverso la caccia, sia in modo indiretto, mediante profonde e durature trasformazioni delle caratteristiche degli habitat. Risale al 1872 così la creazione del primo Parco nazionale del mondo, quello dello Yellowstone negli Stati Uniti d’America istituito “for the benefit and enjoyment of future generazioni”. L’istituzione di questo Parco segna una sorta di inversione di tendenza: l’uomo ha sino a quel momento solo sfruttato la natura per il proprio benessere depauperando fortemente gli ambienti naturali per utilizzarne le risorse o distruggendoli per fare spazio alle proprie attività. A Yellowstone per la prima volta si decide di proteggere e salvaguardare gli ambienti naturali e tutte le specie che in essi vivono per non perderli e per lasciarli intatti alle future generazioni.

Discussion

Si descrivono alcuni concetti chiave basati sulla teoria della biogeografia insulare sviluppata da MacArthur e Wilson (1967) secondo cui il numero di specie presenti in un’isola è funzione dell’equilibrio che si raggiunge tra tasso di estinzione e tasso di immigrazione. Il tasso di estinzione è funzione a sua volta delle dimensioni dell’isola, mentre il tasso di immigrazione dipende dal suo grado di isolamento. In una determinata isola, dunque, il caso di immigrazione tende a bilanciare il tasso di estinzione: quando viene raggiunto il punto di equilibrio il numero delle specie presenti diviene costante. La frammentazione degli habitat prodotta dalle attività umana crea delle isole di habitat integri separate da ampie porzioni di territorio fortemente antropizzato soggette alle stesse leggi della teoria biogeografica suddetta, della quale quindi occorre tener conto nel progettare ed istituire un’area protetta al fine di massimizzare il numero di specie presenti.

I criteri fondamentali da tenere dunque ben presenti nella progettazione di una riserva (Diamond, 1975) possono essere così brevemente riassunti:

  • una riserva di grandi dimensioni può ospitare più specie e quindi avere una maggiore biodiversità, più tipologie di habitat e ospitare specie che hanno necessità di ampi spazi come grandi carnivori, il cui home range è spesso di notevole dimensioni;

  • una sola grande area protetta sarebbe in generale preferibile a diverse piccole riserve, anche assumendo che queste abbiano lo stesso tipo di ecosistemi;

  • qualora sia inevitabile istituire più riserve piccole anziché una grande, è meglio che esse siano vicine tra loro per favorire dispersione e migrazione delle specie mantenendo il flusso genico tra le diverse riserve;

  • per tale ragione, se si creano più riserve è necessario collegarle attraverso corridoi che consentano alle specie di trasferirsi da un’area all’altra senza attraversare porzioni di territorio sfavorevoli;

  • se si creano più riserve, la loro collocazione dovrà essere raggruppata sotto forma di cluster e non secondo una geometria lineare: un raggruppamento equidistante facilita infatti il movimento degli individui tra le varie aree migliorando il flusso genico;

  • la forma della riserva deve essere quanto più possibile circolare per minimizzare l’effetto margine e ridurre le distanze di dispersione: la forma allungata di un’area protetta aumenta infatti la distanza tra la core area di una buona popolazione e i suoi nuclei più lontani, aumentandone il rischio di estinzione, oltre a incrementare l’estensione del margine. Le dimensioni di una riserva debbono essere le più ampie possibili compatibilmente con le condizioni ecologiche ma anche politiche ed economiche. Due i criteri principali:

  • in un’ampia riserva sono rappresentati una maggiore varietà di ecosistemi e quindi più specie rispetto a quelli presenti in una di piccole dimensioni;

  • le grandi riserve sono più facili da gestire per le seguenti ragioni:

  • ospitano popolazioni di maggiori dimensioni, meno soggette ad estinzione;

  • hanno meno margine rispetto alla superficie totale e quindi sono relativamente meno permeabili dall’esterno (specie aliene, fenomeni di bracconaggio);

  • sono meno vulnerabili alle catastrofi naturali e i cambiamenti non sono così profondi da alterarne definitivamente lo stato.

Ovviamente questi sono i principi generali che nella realtà poi si scontrano con fattori difficilmente di natura ambientale. Se infatti confrontiamo situazioni reali di diversa estrazione geografica, ci si rende conto di quanto le dimensioni di un’area protetta siano frutto di compromessi di altra natura. I grandi parchi nazionali africani, canadesi o statunitensi certamente rispondono ai principi generali sopra enunciati, mentre per fare un paragone i parchi nazionali italiani sono spesso costituiti da porzioni di territorio che rappresentano un mosaico di ambienti naturali più o meno conservati e di aree antropizzate in diversa misura che pongono una sfida continua per mantenere le condizioni ecologiche minime per la sopravvivenza degli habitat e delle specie. Quindi nell’istituzione di un area protetta non entrano in gioco solo fattori legati alla biologia della conservazione, ma spesso fattori di tipo sociale, politico ed economico. In Europa, infatti, le aree protette istituite inevitabilmente comprendono centri abitati, strade, ferrovie e attività produttive di varia natura da tenere in considerazione durante la fase di progettazione ed ancora di più in fase di gestione.

La Convenzione di Rio è stato uno dei primi atti a considerare la conservazione anche come vettore di sviluppo economico e sociale. Spesso in passato la contrapposizione tra piccole e grandi aree protette è stata piuttosto accesa in biologia (SLOSS - Single Large or Several Small) ma oggi viene universalmente riconosciuto, che anche piccole riserve possono contribuire a tutelare la biodiversità. Nel progettare una riserva e dunque nel tracciare i confini occorre considerare attentamente il contesto ambientale in cui essa viene a trovarsi perché i confini non sono barriere meccaniche ma sono fortemente permeabili a tutta una serie di interferenze: inquinamento dell’aria e dell’acqua, invasione di specie esotiche, bracconaggio, ecc. Tale permeabilità esiste anche in senso inverso ed è a sua volta sorgente di aria ed acqua pulita, fauna selvatica, legname fornito ad attività industriale esterne ecc. Occorre quindi massima attenzione nel progettare un’area protetta, nel tracciarne i confini tenendo in attenta considerazione ciò che è presente all’esterno della riserva in itinere. I confini devono essere perciò razionali sia perché devono includere il maggior numero di habitat sia perché debbono essere progettati in un futuro facilmente individuabili proprio in funzione anche delle attività umane (linee di cresta, corsi d’acqua, strade sterrate o altro segno morfologicamente distinguibile).

Per uscire dal concetto di area protetta come “santuario” è fondamentale l’istituzione di una cosiddetta zona tampone (buffer area) tra l’area protetta e gli ambienti antropizzati. Quest’area dovrebbe possibilmente contenere habitat con un buon livello di naturalità, che consentano alle specie di sopravvivere anche fuori dall’area protetta (si pensi al lupo o all’orso).

In un mondo ideale, avremmo riserve ampie tanto quanto è necessario per proteggere tutte le specie presenti e circondate da biotopi con un buon livello di integrità ambientale in diretta connessione e a protezione di quelli inclusi nella riserva. Nella realtà le cose sono assai diverse: sono poche le riserve di ampiezza sufficiente a proteggere completamente le biocenosi tipiche e spesso inoltre, le riserve sono circondate da ambienti fortemente degradati, isole disconnesse dentro a territori urbanizzati. La connettività acquisisce un valore fondamentale perché crea attraverso corridoi continui o discontinui un collegamento. Possiamo individuare quattro tipi di spostamenti della fauna da mantenere e favorire:

  • movimenti giornalieri tra i vari patch di habitat idoneo;

  • migrazioni stagionali, che molte specie compiono tra i quartieri invernali e quelli estivi;

  • dispersione degli individui giovani favorendo la colonizzazione di nuove aree e riducendo i problemi di inbreeding;

  • spostamenti verso latitudini o quote maggiori in risposta ai cambiamenti climatici antropogenici.

L’istituzione a livello europeo della rete Natura 2000 è stato un primo importante passo verso la compensazione della frammentazione e l’incremento della connettività.

Molti sono i casi in cui le aree protette in Europa sono in realtà aree in parte antropizzate al cui interno coesistono insediamenti urbani, attività artigianali o agrosilvopastorali, aziende agrarie e allevamenti estensivi. Tutto ciò implica che nella gestione dell’area protetta le attività umane debbano essere contemplate e semmai rese coerenti con i principi di gestione. Si è passati, nel tempo, dal concetto di area wilderness al concetto di uso sostenibile delle risorse esplicitato nella Convenzione sulla Biodiversità sottoscritta a Rio de Janeiro nel 1992. Gli obbiettivi saranno sicuramente quelli relativi alla conservazione, alla ricerca e all’educazione, ma a questi si è affiancato anche il concetto di sviluppo delle popolazioni che vivono in essa e nei suoi confini. Sviluppo economico legato al turismo, o meglio all’ecoturismo, alla valorizzazione e alla promozione delle attività tradizionali senza mai consumare il capitale dell’area protetta costituito dall’ambiente naturale. Diviene in questo modo anche vettore di crescita creando consenso anche nelle comunità locali, che così non vedono solo i vincoli portati dal parco. Gli strumenti per rendere compatibili le attività antropiche sono contenuti sia nella normativa Comunitaria (Direttiva Uccelli (79/409/CEE) e Habitat (92/43 CEE), SIC (siti di importanza comunitaria) e ZPS (zone di protezione speciale) attraverso la Rete Natura 2000, sia nella Legge Quadro nazionale sulle aree protette (Legge 6 dicembre 1991 n. 394).

Conclusions

Il paper anche se tratta alcuni concetti in maniera superficiale e generica vuole evidenziare l’importanza che hanno i parchi e le riserve oggi e soprattutto nel futuro nel preservare interi ecosistemi dalle possibili aggressioni dirette (depauperamento degli habitat) e indirette (global warming) che avvengono per mano dell’uomo anche grazie a normative Europee e Nazionali che tendono a rivalutare il concetto di rapporto uomo - natura nel modo corretto e più armonioso possibile. Anche in questo caso la concertazione tra ricercatori nel campo delle scienze biologiche, legislatore e giuristi è fondamentale.

References

Battisti, A., De Battisti, R., Faccoli, M., Masutti, L., Paolucci, P., Stergulc, F. (2013). Lineamenti di zoologia forestale. Padova University Press, Padova.

Diamond, J.R. (1975). The island dilemma: lessons of modern biogeographic studies for the design of natural reserves. Biological Conservation 7: 129 - 146.

MacArthur, R.H., e Wilson, E.O. (1967). The Theory of Island Biogeography. Princeton University Press, Princeton.

Russo, D., Sulli, C., (2011). Conservazione della natura e gestione delle aree protette. Liguori Editore, S.r.l., Napoli.

Link

CBD - Convenzione di Rio de Janeiro: http://www.minambiente.it/pagina/cbd-convenzione-di-rio-de-janeiro.

Rete Natura 2000: http://www.minambiente.it/pagina/rete-natura-2000.

SLOSS Debate: http://ansatt.hil.no/event/files/2010/04/Tjorve2010JTheorBiol.pdf.

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